
LA CULTURA DELLA CURA
Intervista a Sonia Malaspina

Direttrice Relazioni Istituzionali, Comunicazione e Sostenibilità di Danone Italia e Grecia. Board Member di Danone Italia. Ha ideato la Parental Policy, diventata policy aziendale a livello globale e la Caregiver Policy. Ha raccolto più di un decennio di osservazione e pratica nel libro ‘Il Congedo Originale’ (con M. Agosta).
Il “prendersi cura” è un concetto non particolarmente apprezzato e valorizzato, oggi.
Invece nella Sua esperienza e visione ha un importante ruolo, anche economico. Può illustrarcelo?
L’esperienza fatta in merito all’introduzione in Azienda di politiche a supporto della genitorialità a partire dal 2011 e dal 2020 di politiche di supporto alla cura delle persone anziane e fragili, insegna che la cura nei contesti lavorativi ha un importante, potenziale valore. Ho raccolto più di un decennio di osservazione e pratica nel libro “Il Congedo Originale”, scritto a quattro mani con Marialaura Agosta.
Dall’osservazione di centinaia di casi di mamme, papà, di chi si occupa di genitori anziani o di persone fragili, abbiamo riscontrato uno sviluppo di competenze cruciali delle persone, competenze che sono indispensabili nell’attuale economia digitale e immersiva.
Oggi e in prospettiva, infatti, contano la CREATIVITA’ e l’INTELLETTO, la PROATTIVITA’ e l’AGILITA’.
Fattori quali il BENESSERE, la MOTIVAZIONE e l’ENTUSIASMO, che rendono le persone molto più performanti su questi fronti, fanno e faranno quindi sempre di più la differenza.
Ecco che se vogliamo avere team fortemente performanti dobbiamo prenderci cura delle persone che ne fanno parte e, considerando che la popolazione aziendale nella generalità dei casi, come quella del nostro Paese, è destinata a invecchiare al lavoro ed è composta in maniera significativa da caregiver, dobbiamo prenderci cura, in particolare, anche di chi si prende cura di altre persone.
Penso, quindi, che sia necessario valorizzare la cura negli ambiti lavorativi.
Occorre PRENDERSI CURA DELLE PERSONE e INCORAGGIARLE ALLA CURA di loro stesse, degli altri e dell’ambiente.
Questo approccio permette di generare il massimo ingaggio da parte delle persone e di ottenere un impatto sia a livello sociale sia a livello economico.
Perché “operare la cura delle persone” in azienda ne migliora le performance?
Perché le persone hanno necessità di essere considerate e gestite nella loro interezza di esseri umani. Non si può prescindere dal loro essere genitori, figli, o caregiver.
Se si comprendono le persone e se le si aiutano a superare i momenti difficili, le stesse persone RESTITUIRANNO all’azienda l’attenzione ricevuta, in termini di BENESSERE, ingaggio e performance.
In che modo l’esperienza di cura, ad esempio nei confronti di un congiunto, migliora le competenze manageriali? Quali competenze, in particolare?
Abbiamo osservato che competenze come lavorare per obiettivi, darsi priorità e gestire la complessità si allenano nella cura, in particolare dei bambini, degli anziani, o comunque delle persone fragili. La cura diventa come una palestra naturale. E quando le persone ritornano al lavoro sono migliori da un punto di vista professionale.
Quindi se pensiamo – ad esempio – a una mamma che dopo la maternità viene aiutata a reinserirsi, possiamo osservare che si sprigioneranno delle competenze aumentate, accresciute, cruciali nell’attuale contesto del lavoro digitale in cui la gerarchia o l’abitudine a lavorare in silos hanno ceduto il posto al team-working, alla cooperazione e alla gestione efficacie dei flussi di informazioni.
Durante l’esperienza della cura sviluppiamo, in particolare, competenze come l’empatia, l’ascolto attivo, la resilienza, la capacità di gestire imprevisti e crisi, la capacità di lavorare per priorità.
Questo mi fa dire che l’esperienza di cura, se considerata nel medio-lungo periodo rappresenta qualcosa di positivo anche dal punto di vista organizzativo e diventa un investimento con un importante ritorno.
Che tipo di misurazioni avete adottato per monitorare le competenze dei caregiver?
Abbiamo misurato l’auto-percezione delle persone prima e dopo l’esperienza di cura.
Gli esiti sono stati, poi, avvalorati dai manager e dall’osservazione delle persone tramite il metodo messo a punto da Lifeed.
Come creare un clima aziendale che consenta alle persone di valorizzare le proprie esperienze di vita e restituirne i frutti in ambito professionale?
Creando un ambiente di lavoro inclusivo, in cui le persone si sentono libere di esprimere sé stesse.
Il clima aziendale è un fattore di importanza fondamentale e – soprattutto – confermata dall’approccio al lavoro delle nuove generazioni.
Per tutte le generazioni di lavoratori post COVID un ambiente stimolante, dove si imparano cose nuove, con una buona vivibilità delle persone e un rapporto aperto con i colleghi e con i superiori diventa un elemento fondamentale nella scelta di andare e di restare in una data azienda.
Ecco che il clima aziendale diventa molto importante, anche in relazione al fatto che un alto turnover rappresenta un costo elevato per qualsiasi realtà organizzativa.
Qual è il ruolo della selezione rispetto alla creazione di un clima in cui potere valorizzare le competenze sviluppate dai caregiver? Questo stesso criterio serve anche nel selezionare persone che a livello psicoaffettivo mostrano una potenziale attitudine a sposare una cultura di cura?
Certamente, si.
La nostra cultura è fatta di cura e di sfida. Bisogna sapere mediare bene questi due elementi. La cura serve a noi – come a degli atleti – a ottenere grandi prestazioni e risultati.
Con lo stesso approccio valutiamo questa caratteristica per potere selezionare persone che vogliono continuamente migliorarsi, che curano – quindi – se stesse e che si prendono cura degli altri e del Pianeta.
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