Logo Viblio con illustrazione di un astronauta.

L'ONBOARDING, POTENZIATO DALL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Intervista a Mirko Puliafito

Foto profilo di Mirko Puliafito

Esperto di Innovazione e IA. CEO di Digitiamo, che sviluppa soluzioni di IA per la produttività e la relazione con i clienti e offre una AI Business Academy. Già Product Director della piattaforma di formazione Docebo, insegna “Tecnologie innovative per lo sviluppo Web” nell’Università degli Studi dell’Insubria.

L’IA sostituisce parte della gestione HR o la integra, potenziandola (o entrambe le cose)?
Con quale approccio suggerisci di valutare il contributo delle tecnologie IA al ruolo e ai processi HR?

L’IA non sostituisce la gestione HR, ma la trasforma e la potenzia, automatizzando le attività ripetitive e lasciando più spazio per l’aspetto umano e strategico della funzione.

Pensiamo ai processi HR come a un continuum che va dalle attività operative (screening CV, onboarding, gestione amministrativa) a quelle più strategiche (sviluppo talenti, engagement, cultura aziendale).

L’IA può intervenire su entrambi i livelli, ma con impatti diversi:

  • Automatizza le attività a basso valore aggiunto, come la preselezione dei candidati, la gestione documentale o la risposta alle FAQ interne.
  • Supporta e potenzia le attività strategiche, fornendo insight basati sui dati, analisi predittive e strumenti per personalizzare il supporto ai dipendenti.

L’IA è quindi un alleato, non un sostituto. Aiuta a rendere il lavoro degli HR più efficace e mirato, ma non può (e non deve) eliminare il ruolo dell’empatia, della negoziazione e della comprensione umana che caratterizzano questa funzione.

Come sei arrivato a occuparti di IA nei processi HR?

Mi sono avvicinato all’IA nei processi HR partendo da un’esigenza concreta: rendere più efficaci e personalizzati i percorsi di onboarding e formazione, superando le rigidità dei sistemi tradizionali. L’ho fatto in azienda e nel passato nella tecnologia, introducendo l’AI nella piattaforma LMS di Docebo.

Nel mio percorso, ho visto quanto fosse difficile garantire un’esperienza di inserimento che fosse davvero su misura per ogni persona. Spesso i processi HR si basano su regole standardizzate, checklist e documenti poco coinvolgenti, lasciando poco spazio a un’interazione dinamica e adattiva.

L’IA mi ha permesso di trasformare questo approccio: da un modello unidirezionale a un sistema che ascolta, apprende e risponde alle esigenze di ogni risorsa in tempo reale. Grazie all’analisi dei dati e agli strumenti di interazione avanzati, oggi possiamo creare percorsi di onboarding più intelligenti, formativi e stimolanti, dove la tecnologia è al servizio delle persone, e non viceversa.

In Digitiamo crediamo che l’IA non debba sostituire il tocco umano, ma amplificarne l’impatto. Lavoriamo per costruire soluzioni che aiutino le persone a crescere, integrarsi e sentirsi parte di un’organizzazione sin dal primo giorno.

Nella tua visione, quali elementi vanno considerati quando parliamo di onboarding?

L’onboarding interessa diversi elementi che oggi l’HR affronta in modo più o meno strutturato:

le hard e soft skill, l’allineamento rispetto alle aspettative, il training sulle procedure interne aziendali, il training sulle specificità dell’azienda, la formazione sulla sicurezza del lavoro, l’assesment della persona, il setting degli obiettivi, un eventuale continuo monitoraggio sull’andamento della figura nella posizione

Schematizzando, gli elementi chiave sono la valutazione, la formazione e l’allineamento con le aspettative legate al ruolo da ricoprire e con la cultura aziendale.

L’onboarding riguarda, quindi, un’esigenza di learning e un’esigenza, che io chiamo di post-assesment.

Quali sono le principali sfide dell’onboarding di nuove risorse rispetto a un processo di career improvement interno?

Per i trasferimenti interni l’onboarding può concentrarsi sulla formazione per il nuovo ruolo mentre per le assunzioni esterne c’è maggiore incertezza sulle competenze e sull’adattabilità della persona, per cui – in generale – sono opportuni una valutazione e un piano di onboarding più approfonditi.

Nella sua accezione tradizionale il concetto di onboarding è riferito al momento in cui una nuova figura si unisce all’azienda. Tu come lo definisci?

Nella nostra visione l’onboarding non è solo il primo passo di un nuovo dipendente in azienda, è un processo necessario in diversi scenari e che, posta un’assunzione o un aumento di carriera, fa in modo che la persona sia attiva e autonoma nel coprire un dato ruolo.

L’onboarding è quindi un processo continuo di integrazione, apprendimento e adattamento.

Tradizionalmente, viene visto come un insieme di attività per introdurre una nuova risorsa alla cultura aziendale, alle procedure e ai colleghi. Ma nella mia visione è un ecosistema dinamico, che non si esaurisce nei primi giorni o settimane, ma si estende nel tempo per garantire che la persona diventi davvero autonoma e performante nel suo ruolo.

L’onboarding è più di un semplice benvenuto, è un acceleratore di efficacia.

Nel contesto moderno, possiamo distinguere tre livelli di onboarding:

  1. Onboarding funzionale – Fornisce gli strumenti, le informazioni e la formazione necessarie per iniziare a lavorare
  2. Onboarding culturale – Favorisce l’allineamento con i valori, la visione e la mission aziendale
  3. Onboarding relazionale – Costruisce connessioni con il team e il network aziendale per accelerare l’integrazione

In Digitiamo, vediamo l’onboarding come un processo adattivo e personalizzato, che riguarda diversi scenari e in cui l’IA gioca un ruolo fondamentale nel garantire che ogni persona riceva le informazioni e il supporto più adatti al proprio profilo e alle proprie esigenze.

L’obiettivo finale è quindi non solo far entrare qualcuno in azienda, ma metterlo nelle condizioni di dare il meglio di sé, nel minor tempo possibile e con la migliore esperienza possibile.

Lo consideri, quindi, un processo articolato, che come tale viene utilmente potenziato dall’IA

Assolutamente sì.

Non è un processo statico e uguale per tutti, ma deve essere articolato, flessibile e personalizzato in base al ruolo, all’esperienza pregressa e agli obiettivi della persona.

Articolato perché coinvolge diverse dimensioni: conoscenza dell’azienda, formazione tecnica, integrazione culturale, sviluppo delle soft skill e costruzione di relazioni interne. Un onboarding efficace non si limita a fornire informazioni, ma garantisce che la persona si senta parte attiva dell’azienda.

PERSONALIZZATO perché ogni persona ha un background, un’esperienza e uno stile di apprendimento differenti. Una figura junior ha bisogno di un supporto diverso rispetto a un senior, così come un profilo tecnico ha necessità diverse rispetto a un profilo commerciale.

In che modo l’IA lo potenzia?

L’IA permette di scalare la personalizzazione e l’efficacia dell’onboarding in diversi modi:

  • Percorsi su misura: analizza le competenze e le necessità per proporre contenuti formativi mirati
  • Accesso rapido alle informazioni: chatbot e digital twin aziendali rispondono in tempo reale a domande, evitando lunghe ricerche nei documenti
  • Monitoraggio dell’adattamento: analizza il coinvolgimento e i progressi della persona, segnalando eventuali difficoltà prima che diventino problemi
  • Supporto continuo: invece di un onboarding “a tempo” (es. prime due settimane), può garantire un affiancamento smart nei primi mesi di attività
Parlavi non di assesment ma di post-assesment. Come mai?

Parlo di post-assesment perché dopo avere selezionato una persona, posto che la risorsa perfetta non esiste, ci sarà sicuramente un positivo pregresso che la persona porta e per il quale è stata selezionata, ma probabilmente anche qualche gap da colmare.

Questo vale sempre, ma soprattutto in caso di replacement, perché ci sarà un’aspettativa nei confronti della nuova risorsa, sia rispetto al contesto aziendale che anche rispetto allo specifico ruolo che la risorsa andrà a ricoprire.

Aggiungo che – cosa altrettanto importante – l’IA consente una ricaduta anche in termini di engagement della nuova risorsa, proprio perché pone un’attenzione davvero a misura della singola persona.

Qual è il possibile contributo dell’IA in questo caso?

L’IA consente di potenziare ciò che già si fa in risposta a queste esigenze, anzitutto perché è in grado di fornire una valutazione molto più accurata della persona in termini di competenze, ma anche di valori, di tratti di personalità, di interessi rispetto a quanto avvenuto nella fase di selezione.

Accennavi che nell’esaminare il processo di onboarding è opportuno considerare diversi scenari. Quali?

Ci sentiamo di differenziare tre casi specifici di onboarding, perché ciascuno ha dinamiche e criticità diverse, e richiede un approccio, processi e strumenti diversi. Nello specifico:

  • Nuova persona | ruolo nuovo (rispetto al quale l’azienda non ha esperienza)
  • Persona interna | ruolo nuovo (carrier improvement)
  • Nuova persona | ruolo già esistente in azienda (replacement)

L’IA può contribuire in modo mirato a rendere l’onboarding più efficace in ciascuno di essi.

Analizziamoli singolarmente.
  • Nuova persona I ruolo nuovo
Come realizzare un onboarding efficace per un ruolo rispetto al quale l’azienda non ha esperienza?

Se il ruolo è totalmente nuovo (pensiamo, ad esempio alla creazione di un servizio marketing, precedentemente esternalizzato) si farà maggiormente affidamento sulla nuova figura e su quanto si è appreso su di lei in fase di selezione.

Anche nell’impostare il nuovo ruolo ci si farà guidare da ciò che la nuova figura ha fatto nel passato.

In questo caso l’esigenza di un post-assesment dopo la selezione è apparentemente meno avvertita e meno controllabile: essendo il ruolo nuovo, manca il riferimento interno di un challenge, di una verifica, di un double check; e se anche dopo la selezione si facesse un post-assesment, la consapevolezza di cosa manca alla persona resterebbe comunque relativamente bassa.

Ti racconto un esempio “sulla mia pelle”: avevo deciso di introdurre una nuova figura di responsabile vendite e ho scelto una persona fidandomi della catena di conoscenze, delle persone che me ne parlavano e dell’head hunter che ci ha supportato. Ma in realtà mancava il fit della persona con i valori aziendali e mancavano anche delle skill relazionali, di approfondimento e tutta una serie di altre cose di cui noi stessi ci siamo potuti accorgere solo a valle di assesment successivi.

Era il primo ruolo di quel tipo in azienda, non avevamo esperienza e guardandomi indietro probabilmente avrei dovuto fare cose molto diverse, scoprirlo molto prima, in fase di selezione o in fase di onboarding.

Né si può pensare di insegnare alla nuova figura un ruolo che non si conosce: c’è un unknown, non si sa esattamente cosa la persona farà in quel ruolo per cui non si sa come sarà opportuno integrarne le competenze.

Quindi, a meno di ricorrere ad advisor esterni – o magari allo stesso head hunter che ha supportato nell’hiring – non resterebbe che attendere i risultati.

Inoltre, se non ci si affida direttamente alla risorsa – perché è iper-skilled o perché nel suo ruolo deve produrre da subito – insieme ai percorsi aziendali per l’onboarding, può anche essere opportuno il ruolo di un coach esterno che aiuti e supporti la persona.

Cosa può fare in più l’IA per realizzare un efficace onboarding di una nuova risorsa per un ruolo del quale l’azienda non ha esperienza?

In questo caso l’IA è quantomai efficace nel migliorare l’onboarding e può fare la differenza.

Infatti, mentre internamente all’azienda non si saprebbe definire esattamente cosa è giusto e cos’è sbagliato rispetto a un ruolo nuovo, l’IA è un occhio terzo che ha – invece – l’esperienza di tutti coloro che hanno già rivestito quello stesso tipo di ruolo, ed ha altresì costruito percorsi di apprendimento di conseguenza.

Ecco perché l’IA ci aiuta: mentre, tendenzialmente, l’HR è focalizzato anzitutto sulle persone all’interno dell’azienda, c’è invece, fortunatamente, un IA che ha l’esperienza di altri, che eredita e rende disponibile.

Quando le nostre possibilità di valutazione appaiono essere non sufficienti, ci si può fidare di uno strumento aperto ed esperto.

  • Persona interna I ruolo nuovo
Quali sono i vantaggi e le sfide di un career improvement?

Possiamo considerare il caso del career improvement come un onboarding mascherato: la persona non è entrata da nuova in azienda ma ha solo cambiato ruolo. Quando si fa crescere una persona dall’interno ci sarà molto probabilmente un percorso di Mind the Gap. Ma non ci sarà, ovviamente, la parte di training sull’azienda.

Occorre un percorso di apprendimento che parte da un assesment delle skill della persona rispetto a quelle richieste dal nuovo ruolo. Si tratta, quindi, di un upskilling orientato a un career improvement.

Noi, ad esempio, abbiamo fatto evolvere una persona da Marketing Specialist a BDR, quindi a una figura che non fa solo pubblicazioni, post sui social … ma anche, diciamo, reach out. Gli abbiamo fatto fare un percorso di formazione, di evoluzione del suo profilo da A a B, dandogli tutti gli strumenti su “come fare cold call dove trovare le list, come porgersi, come fare un agent script, come gestire la dialettica con l’altra parte”. Sono tutte attività tipiche dell’upskilling orientato a un onboarding.

Per inciso: un career improvement può anche non passare da un upskilling: questo nel caso di sostituzione dall’interno di una figura già esistente: se va via il CMO, e lo sostituisco con una persona del suo team, più junior ma che ha già date competenze, non è detto che occorra fare tanta attività di upskilling.

C’è poi l’upskilling totalmente libero: quando facevo sistemi di LXP, si lasciava la risorsa libera di potersi formare, ad esempio su nuove tecnologie.

In che modo l’IA contribuisce a migliorare l’upskilling?

L’IA può migliorare l’upskilling personalizzando i percorsi di apprendimento in base alle competenze attuali e agli obiettivi della persona.

Attraverso l’analisi dei dati sulle performance e delle preferenze di apprendimento, può suggerire contenuti mirati, adattare la difficoltà degli esercizi e fornire feedback in tempo reale.

Inoltre, strumenti basati su AI possono fungere da coach virtuali, offrendo simulazioni pratiche, role-playing e consigli contestuali.

Questo permette una crescita professionale più fluida e aderente alle esigenze individuali e aziendali.

  • Nuova persona I ruolo già esistente in azienda
Quali sono le criticità nel caso di replacement di una figura aziendale con una nuova persona?

Quando devo sostituire una figura aziendale – perché è andata via e non l’ho trovata internamente – con una nuova risorsa esterna (o anche quando aggiungo una risorsa esterna a un dato team) abbiamo il caso maggiormente complesso, che comprende i due precedenti.

Infatti, dopo avere selezionato una risorsa ci si aspetta che, insieme al proprio contributo, la nuova figura porti anche lo stesso tipo di contributo della risorsa che sostituisce, la quale – positivo o negativo che fosse – ha consolidato e abituato l’azienda a un certo tipo di apporto, di lavoro e di relazione.

In caso di replacement, quindi, c’è sempre una data aspettativa legata al ruolo di cui tenere conto.

Inoltre, al di là dell’aspettativa legata a uno specifico ruolo, è certo che da una persona nuova in azienda non ci si può aspettare un contributo in linea con il contesto aziendale come quello generato da chi all’interno di quel contesto già operava.

Di conseguenza, in ottica di onboarding è importante un assesment (da farsi nella stessa fase di onboarding o precedentemente nel caso in cui si sia fatto uno screening in fase di selezione e si sia consapevoli di cosa manca alla persona), a partire dal quale costruire un percorso di apprendimento per colmare quei gap che sicuramente la nuova figura ha rispetto a quella che c’era.

Questo consentirà di fornire alla persona gli strumenti che le servono e di averla il prima possibile disponibile, attiva e autonoma, senza dover ricorrere a un training on the job.

Training on the job che non sarebbe comunque possibile prevedere in anticipo rispetto all’assesment, dal momento che solo successivamente ci si accorgerebbe di date mancanze.

Inoltre, soprattutto nel caso di un empowerment del team interno, potrà essere opportuno anche un intervento di coaching.

Come migliorare un replacement con l’IA?

L’IA aiuta a gestire il replacement sia nella fase di selezione che nell’inserimento della nuova risorsa.

Può identificare i gap rispetto alla figura precedente e suggerire percorsi di onboarding personalizzati per ridurre il tempo di adattamento.

Inoltre, con il monitoraggio continuo delle performance e l’analisi delle interazioni nel team, l’IA può segnalare eventuali criticità nel processo di transizione, facilitando un allineamento più efficace tra la nuova risorsa e la cultura aziendale.

Come le aziende possono farsi supportare dall’IA per ottimizzare il processo di onboarding?

L’IA consente di creare contenuti formativi e di fornire tutte e sole le informazioni e la formazione necessarie a ricoprire un dato ruolo.

Partiamo dal presupposto che qualsiasi onboarding richiede che l’azienda sia dotata di policy aziendali, che descrivono la vita e le regole al suo interno, come se fosse una società e di un percorso di allineamento per ogni specifico profilo (rispetto a quanto pubblicato in job-post o – comunque – rispetto all’esigenza per la quale si è deciso di inserire una risorsa).

Quello che succede oggi è che le aziende hanno una serie di manuali, appunti, base dati, documenti dove portano questo tipo di informazioni. Che si tratti di Notion o in una cartella Office 365 o di Google Drive, o di documenti di compliance condivise o, nelle aziende più strutturate, di una base dati precostituita con tutte le direttive aziendali, oggi gli strumenti sono tendenzialmente documenti.

Quindi quello che succede oggi è che si dà accesso alla conoscenza del momento, con l’invito a leggerla e digerirla, in qualche modo.

Se si tratta di video, di brevi pillole nel percorso di onboarding, queste vengono viste (come succede ad esempio da noi), ma se ho delle normative o delle policy aziendali su centinaia di pagine e centinaia di documenti (come ci succede dai nostri clienti) è chiaro che nessuno se le andrà a leggere, anche perché poi sarebbe molto difficile l’accesso ed è impossibile ricordarsi tutto.

Quello che la tecnologia mette a disposizione, su strumenti sempre più accessibili a livello enterprise, è la possibilità lato HR di creare una base di conoscenza di tutta questa informazione, metterla su un database condiviso, quindi renderla più accessibile, costruirci sopra un bot di interazione (abbiamo dei clienti, l’abbiamo realizzato e funziona molto bene) e darne l’accesso alle persone, dicendo loro: “ok io ti ho fatto la formazione fino a qui, avresti dovuto fare accesso a queste centinaia di documenti, e accetto il fatto che tu non lo abbia fatto, perché è impossibile e non lo farebbe quasi nessuno. Però nel momento in cui hai una domanda sono qui a disposizione, mi fai una domanda, accedo alla stessa base di conoscenza e ti fornisco la risposta”.

Abbiamo osservato che questa è, effettivamente, un’ottima evoluzione dell’accessibilità dell’informazione, che snellisce l’onboarding, perché permette di togliere dei contenuti troppo pesanti e magari inutili in una fase iniziale, consentendo di limitarsi a quelli essenziali, e sposta a un supporto H24 tutto ciò che in quella primissima fase non è necessario e sarebbe anche disingaggiante.

L’IA può aiutare anche nel creare contenuti e percorsi di apprendimento per portare tutti allo stesso livello, da associare a un’attività di onboarding e nell’animarli se si vogliono realizzare dei video informativi.

In Digitiamo abbiamo per ognuna delle principali figure professionali delle pillole di approfondimento del “come lo facciamo noi in maniera diversa rispetto agli altri”.

Si possono creare facilmente contenuti – sia video che non video –– di studio o di interazione diretta con un digital twin.

Come le aziende possono farsi supportare dall’IA per ottimizzare il processo di onboarding?

L’IA consente di creare contenuti formativi e di fornire tutte e sole le informazioni e la formazione necessarie a ricoprire un dato ruolo.

Partiamo dal presupposto che qualsiasi onboarding richiede che l’azienda sia dotata di policy aziendali, che descrivono la vita e le regole al suo interno, come se fosse una società e di un percorso di allineamento per ogni specifico profilo (rispetto a quanto pubblicato in job-post o – comunque – rispetto all’esigenza per la quale si è deciso di inserire una risorsa).

Quello che succede oggi è che le aziende hanno una serie di manuali, appunti, base dati, documenti dove portano questo tipo di informazioni. Che si tratti di Notion o in una cartella Office 365 o di Google Drive, o di documenti di compliance condivise o, nelle aziende più strutturate, di una base dati precostituita con tutte le direttive aziendali, oggi gli strumenti sono tendenzialmente documenti.

Quindi quello che succede oggi è che si dà accesso alla conoscenza del momento, con l’invito a leggerla e digerirla, in qualche modo.

Se si tratta di video, di brevi pillole nel percorso di onboarding, queste vengono viste (come succede ad esempio da noi), ma se ho delle normative o delle policy aziendali su centinaia di pagine e centinaia di documenti (come ci succede dai nostri clienti) è chiaro che nessuno se le andrà a leggere, anche perché poi sarebbe molto difficile l’accesso ed è impossibile ricordarsi tutto.

Quello che la tecnologia mette a disposizione, su strumenti sempre più accessibili a livello enterprise, è la possibilità lato HR di creare una base di conoscenza di tutta questa informazione, metterla su un database condiviso, quindi renderla più accessibile, costruirci sopra un bot di interazione (abbiamo dei clienti, l’abbiamo realizzato e funziona molto bene) e darne l’accesso alle persone, dicendo loro: “ok io ti ho fatto la formazione fino a qui, avresti dovuto fare accesso a queste centinaia di documenti, e accetto il fatto che tu non lo abbia fatto, perché è impossibile e non lo farebbe quasi nessuno. Però nel momento in cui hai una domanda sono qui a disposizione, mi fai una domanda, accedo alla stessa base di conoscenza e ti fornisco la risposta”.

Abbiamo osservato che questa è, effettivamente, un’ottima evoluzione dell’accessibilità dell’informazione, che snellisce l’onboarding, perché permette di togliere dei contenuti troppo pesanti e magari inutili in una fase iniziale, consentendo di limitarsi a quelli essenziali, e sposta a un supporto H24 tutto ciò che in quella primissima fase non è necessario e sarebbe anche disingaggiante.

L’IA può aiutare anche nel creare contenuti e percorsi di apprendimento per portare tutti allo stesso livello, da associare a un’attività di onboarding e nell’animarli se si vogliono realizzare dei video informativi.

In Digitiamo abbiamo per ognuna delle principali figure professionali delle pillole di approfondimento del “come lo facciamo noi in maniera diversa rispetto agli altri”.

Si possono creare facilmente contenuti – sia video che non video –– di studio o di interazione diretta con un digital twin.

Quali tecnologie si usano?

Si usa un insieme di tecnologie: si usano dei modelli di linguaggio, quindi OpenAI, ChatGPT, Gemini e via dicendo, insieme a degli strumenti di aggregazione della base di conoscenza, che sono dei database semantici.

L’insieme delle due cose genera degli strumenti di digital twin su cui si possono anche agganciare delle facce parlanti, con strumenti come AIGen, ad esempio.

Questo è oggi l’insieme delle tecnologie disponibili che ci permette di fare questo lavoro.

Come immagini l’evoluzione del digital twin aziendale? Siamo lontani dalla sua diffusione su larga scala?

Il digital twin aziendale non è ancora molto pervasivo, ma lo sarà.

Stiamo osservando che nel momento in cui all’interno di un’azienda la base di conoscenza per dati profili è condivisa e accettata, è poi facile – grazie agli strumenti di AI disponibili – creare un’interazione direttamente con un virtual coach interno che supporta la fase di onboarding.

Oggi è una cosa molto facile – a partire da una job description, da che cosa fare all’interno del ruolo, magari con i responsabili d’area che hanno descritto in maniera più estesa le tecnologie e i processi, e magari con un ISO 9001 che racconta anche qualche dettaglio in più dei processi aziendali – dare tutte queste informazioni in pasto a un’IA e creare automaticamente un digital twin di supporto all’HR.

E tutte le volte che ho una domanda su uno di questi temi, invece di rivolgermi direttamente all’HR mi rivolgerò al coach aziendale o al digital twin dell’HR.

Quali consigli daresti per iniziare a implementare l’IA nei processi di onboarding? Da dove suggeriresti di partire?

Per quanto riguarda il supporto dipendente generico, quindi lasciando a parte l’ipotesi che ci sia la necessità di fare una formazione specifica, si può partire da una baseline di valori fondamentali, regole di compliance e conoscenze aziendali di base e valutare l’uso dell’IA già disponibile negli strumenti aziendali.

Per quanto riguarda il minimo indispensabile che ogni nuova persona deve apprendere, le soluzioni sono tendenzialmente delle funzionalità che sono vicine al mondo HCM (Human Capital Management), ovvero a quei software che riportano e gestiscono l’intero rapporto persona-azienda e che stanno integrando delle funzionalità di IA al loro interno per automatizzare e migliorare i processi di gestione del personale.

Prima di sviluppare soluzioni personalizzate, conviene verificare se esistono queste funzionalità basate su AI direttamente fruibili sul software gestionale già in uso, così da ridurre costi e tempi di implementazione.

Se non ci sono queste funzionalità di AI, molto comode, o se questo non fosse abbastanza, allora serve contattare delle aziende specializzate che fanno strumenti o soluzioni AI che non fanno altro che integrare la conoscenza aziendale e le tecnologie per ottenere il risultato che poi viene portato alla persona.

Questo oggi è il modo di operare, in attesa probabilmente che la tecnologia migliori e maturi, per cui poi usciranno molto verosimilmente delle soluzioni dedicate e verticali per questo tipo di attività, che è un’attività molto di supporto alla persona, quindi molto vicina al mondo HR.

Quali sono gli errori comuni nell’adozione di strumenti di IA a questo livello di baseline dell’onboarding? Come evitarli?

Gli errori più comuni includono:

  • Affidarsi troppo all’IA senza una supervisione umana, rischiando di perdere il contatto con le esigenze individuali.
  • Non personalizzare i contenuti, offrendo esperienze generiche che non rispondono ai reali bisogni del nuovo assunto.
  • Sottovalutare la formazione dei manager sull’uso degli strumenti di IA, rendendo difficile l’integrazione nei processi esistenti.

Per evitarli, è essenziale combinare tecnologia e interazione umana, raccogliere feedback continui e adottare un approccio graduale all’innovazione.

Come personalizzare l’onboarding e migliorare la valutazione delle competenze con l’IA?

Nel caso in cui c’è bisogno di fare una formazione specifica, ci sono due momenti:

  • la parte di assesment, che abbiamo chiamato post-assesment in quanto riguarda valutazioni in parte già fatte durante la fase di recruitment
  • la parte di erogazione dei corsi e di eventuale coaching

La parte di post-assesment riguarda “cosa mi serve, che ruolo ho in azienda, cosa mi serve che la persona faccia”. Essendo una valutazione che avrei dovuto fare durante il recruitment, dovrei già avere una parte di queste informazioni.

Devo sapere cosa voglio far fare alla risorsa e quindi qual è il goal, quali sono i task all’interno della lista di attività che deve fare giornalmente e quali skill deve avere.

Devo quindi fare un assesment rispetto alla sua figura e poi, di conseguenza, colmare il gap.

Il gap può essere colmato tipicamente in modalità formazione, coaching o ibrido.

Anche qui, grazie all’AI ci sono soluzioni che stanno evolvendo sia per l’assesment, sia per l’implementazione di learning path, sia per il coaching.

  • Viblio per la parte assesment: mi dai la persona, mi dici dove vuole arrivare, faccio un assesment, sia soft che hard e identifico un percorso
  • Implementazione di percorsi, i vari LMS disponibili permettono la costruzione di learning path più o meno dinamici in base alla persona e ai contenuti di cui l’azienda dispone
  • Creazione di contenuti: potrei non avere tutti i contenuti necessari per una data formazione specifica
Con quali strumenti di AI posso creare strumenti di apprendimento?

L’IA permetterà sempre di più, dato un contenuto, di generare strumenti di apprendimento iper-personalizzati.

Quindi se la persona non ha un dato tipo di skill, gli costruisco un contenuto iper personalizzato rispetto a ciò di cui ha bisogno, uso degli strumenti per creare contenuti – che poi rivedo – e glieli pubblico, così che la prossima figura li avrà a disposizione.

Io ad esempio uso Beautiful AI che genera delle slide a cui si può anche aggiungere un vocale, partendo da un prompt.

Posso fare dei video: con strumenti come ad esempio AIGen che, preso un contenuto, permette di costruire un video, mettendoci anche una faccia e quindi una sensazione di interattività.

Esistono strumenti come Notebook Lm, di Google che posto un argomento, costruisce degli scenari di audio, quindi simil podcast che parlano di un argomento specifico in modalità più interattiva, con due voci parlanti che dibattono su un argomento permettendomi di fruirlo in maniera più ingaggiante.

Come garantire che le informazioni trasferite durante un percorso di onboarding vengano realmente apprese e applicate nel lungo termine?

La delivery dei contenuti è sempre la cosa un pò più onerosa, perché occorrerà verificare l’efficacia di quanto la persona ha ricevuto durante l’onboarding.

Esistono strumenti di AI che misurano l’impatto nel medio lungo periodo di ciò che la persona ha realmente appreso in una data unità di tempo.

Quando ero in Docebo avevamo comprato un’azienda che faceva questo tipo di metriche usando gli AI. Quindi a distanza di tempo mandava delle survey alle persone in cui chiedeva cosa si ricordavano adesso e lo faceva usando dei pattern riconosciuti con uno studio, ovviamente psicologico, alle spalle, per cui misurava davvero l’effetto di ciò che si è cercato di trasferire al candidato e di quanto gli è rimasto.

Quali sfide affrontano le aziende nell’implementare un onboarding basato sugli attuali strumenti tecnologici?

Le principali sfide includono:

  • Resistenza al cambiamento, soprattutto da parte di chi è abituato a processi tradizionali
  • Difficoltà nell’integrazione con i sistemi HR esistenti, specialmente in aziende con strumenti obsoleti
  • Rischi legati alla privacy e alla gestione dei dati sensibili.
  • Bilanciare automazione e interazione umana, per evitare che l’onboarding diventi un’esperienza impersonale.

Affrontare queste sfide richiede un approccio strategico e una forte attenzione alla user experience.

C’è un aspetto dell’onboarding per il quale il possibile contributo dell’IA è particolarmente sottovalutato, mentre ritieni che sarà cruciale nei prossimi anni?

Uno degli aspetti più sottovalutati è l’analisi predittiva per il successo a lungo termine.

L’IA potrebbe non solo valutare se una persona ha le competenze giuste per un ruolo, ma anche prevedere il suo fit culturale, il livello di engagement e il rischio di turnover.

Questo permetterebbe alle aziende di intervenire proattivamente per migliorare la retention e l’integrazione delle nuove risorse.

Quali altre tendenze emergenti nell’onboarding potenziato dall’IA ritieni particolarmente promettenti?
  • Digital Twin aziendali per un’interazione sempre più naturale tra nuove risorse e sistemi aziendali
  • Learning Experience personalizzate basate su natural language processing e dati comportamentali
  • Onboarding immersivo con AR/VR, per simulare ambienti di lavoro e accelerare l’adattamento
  • Analisi delle emozioni con AI, per monitorare il livello di stress e engagement durante le prime settimane in azienda.
La domanda di chiusura di prassi, che poniamo anche a te è “credi che in futuro l’onboarding sarà un processo sempre più automatizzato o resterà centrale il fattore umano?”

L’automazione crescerà, ma il fattore umano resterà centrale.

L’IA potenzia il processo, rendendolo più efficiente e personalizzato, ma la connessione umana è insostituibile per costruire un senso di appartenenza e motivazione.

Il futuro sarà un equilibrio tra tecnologia e relazione, in cui l’IA libera tempo per le attività più strategiche e relazionali, senza mai sostituire il valore dell’empatia e dell’interazione umana.

Ti è piaciuto il nostro articolo?

Condividilo con le persone a cui potrebbe interessare