
Fiducia e condivisione delle informazioni
Intervista a Vincenzo Perrone

Esperto di strategia e di comportamento organizzativo. Full Professor di Strategic Management and Organization nell'Università Bocconi. Già Prorettore alla Ricerca e Direttore dell'Istituto di Organizzazione e Sistemi Informativi e del Dipartimento Organization and Human Resource Management della SDA Bocconi.
Qual è una definizione corretta della FIDUCIA nella vita organizzativa? È vero che la fiducia “NON COSTA”?
Se volessimo dare una definizione sintetica potremmo dire che “fidarsi significa decidere di mettere qualcosa di valore nelle mani di qualcun altro, essendo pronti a rischiare”.
Può trattarsi, ad esempio, di denaro, reputazione o di un’idea geniale.
In concreto, la fiducia è quell’atteggiamento che ci rende disponibili a esporci all’azione di un’altra persona, nella convinzione (o “speranza ragionata”) che le sue intenzioni e i suoi comportamenti siano positivi nei nostri confronti.
È un po’ come chiedere a un amico di custodire un segreto delicato: finché lo facciamo, stiamo accettando il rischio che possa raccontarlo in giro, perché non esiste un controllo immediato su di lui.
Se non ci fidassimo di nessuno, la nostra vita sarebbe un susseguirsi di sistemi di verifica e di sorveglianza, tanto costosi quanto paralizzanti.
Circola spesso l’idea che la fiducia non abbia alcun costo.
In realtà, sviluppare e mantenere la fiducia richiede tempo, prove, errori, o anche – nei casi più delicati – istituzioni e accordi che garantiscano affidabilità.
Pensiamo a quanto tempo serve per fidarci di un nuovo collega a cui affidiamo l’organizzazione di un progetto importante: prima di rilassarci totalmente, osserviamo se mantiene le promesse, se sa affrontare il lavoro con competenza e – aspetto fondamentale – se dimostra di tenere al nostro benessere e a quello del gruppo tanto quanto tiene al proprio.
Queste tre aspettative – PREDICIBILITA’, AFFIDABILITA’, EQUITA’.
Sono come i tre pilastri di un ponte. Se anche uno solo cede, il ponte della fiducia crolla. E un piccolo cedimento può bastare per incrinare seriamente il rapporto.
Se il nostro amico “custode del segreto” si dimostra inattendibile una volta sola, faticheremo moltissimo a confidargli qualcosa di nuovo. E se un partner d’affari si è dimostrato abile ma poco onesto, è difficile che ci si fidi una seconda volta.
Se guardiamo alla realtà di tutti i giorni, notiamo che costruire fiducia significa spesso ridurre i COSTI DEL CONTROLLO.
Quando c’è fiducia, non servono telecamere ovunque, capi che controllano i dipendenti o contratti interminabili.
Le aziende più innovative si sono accorte che, se si investe in un CLIMA ORGANIZZATIVO dove ognuno sa di poter contare su compagni di squadra e superiori affidabili, i processi diventano più snelli, la creatività si libera e i risultati migliorano.
Per esempio: alcune realtà industriali giapponesi hanno costruito una cultura interna talmente solida che i dipendenti non esiterebbero a lavorare ore in più per gestire un’emergenza, solo perché sanno che prima o poi qualcun altro farà lo stesso per loro.
Tutto ciò, però, non si realizza dalla mattina alla sera, né è “gratis”: richiede tempo, scelte manageriali lungimiranti e, soprattutto, una reale attenzione alle relazioni.
Quali momenti della vita organizzativa rappresentano una SFIDA per la fiducia?
Gli SCOSSONI – che si tratti di fusioni, crisi o anche, semplicemente, dell’arrivo di un nuovo capo – mettono sempre alla prova la fiducia.
Pensiamo a un colosso nato dalla fusione di diverse realtà, come Stellantis: molti dipendenti si chiederanno se il nuovo dirigente manterrà le promesse, se rispetterà la storia aziendale o se si limiterà a tagliare i costi trascurando le persone.
Oppure, guardiamo al caso di un’azienda media che cambia direttore generale perché la precedente guida si è dimessa all’improvviso.
In questi frangenti, si crea un senso di INCERTEZZA, e la fiducia può vacillare perché tutto sembra imprevedibile.
Che cosa si può fare per affrontarli?
Innanzitutto, occhio alle prime DICHIARAZIONI e ai primi GESTI.
È come quando ci presentiamo per la prima volta in un nuovo gruppo: se dopo aver annunciato “voglio lavorare con voi alla pari” iniziamo ad agire in modo autoritario, la coerenza crolla e con lei la nostra credibilità.
In seconda battuta, è importante spiegare con calma e trasparenza IL PERCHE’ di ogni scelta, di ogni taglio di budget, di ogni nuova strategia.
A maggior ragione, se si toglie un vantaggio a qualcuno senza spiegare a dovere la motivazione, è facile che si senta tradito.
Un esempio: in un’azienda farmaceutica che deve ristrutturare la linea di produzione per stare al passo con le normative europee, alcune figure professionali verranno sostituite da robot. Se la dirigenza si limita a dire “È una scelta che ci fa risparmiare”, i dipendenti non capiranno e, anzi, si sentiranno abbandonati.
Ma se, invece, la stessa dirigenza organizza riunioni aperte, spiega che la ristrutturazione è necessaria per continuare a vendere i medicinali all’estero e s’impegna a riqualificare i lavoratori a rischio, il clima di sfiducia si attenua. E magari qualcuno proporrà idee per un utilizzo più efficace dei robot, senza per forza “far fuori” troppe persone.
Il terzo punto cruciale riguarda l’EQUITA’.
Se non siamo disposti a distribuire i sacrifici in modo proporzionato, se non diamo l’esempio in prima persona quando chiediamo a qualcuno di rinunziare a qualcosa, mandiamo un segnale devastante.
Un esempio storico: Winston Churchill, durante la Seconda guerra mondiale, chiese ai suoi concittadini enormi sacrifici (“sangue, fatica, lacrime e sudore”), ma era pronto lui stesso a condividerli e parlava in prima persona plurale.
È così che si crea lo SPIRITO DI SQUADRA, specie quando le acque si fanno agitate e tutti proverebbero la tentazione di remare ognuno nella propria direzione.
Nell’epoca del Covid, una comunicazione più trasparente e sempre onesta da parte di chi gestiva le misure di contenimento avrebbe probabilmente evitato buona parte della sfiducia che oggi vediamo verso scienziati, istituzioni e politici.
Sentirsi trattati come adulti informati, e non come bambini che ricevono direttive senza spiegazioni, fa emergere senso di responsabilità, coinvolgimento e, finalmente, fiducia.
La connessione tra fiducia e CONDIVISIONE DELLA CONOSCENZA sembra intuitiva. Quali altri elementi influenzano i flussi di informazioni ai vari livelli (team, azienda, reti), e quali pratiche possiamo adottare per promuoverne la circolazione?
Si dice spesso che “chi detiene l’informazione detiene il potere”.
E oggi, in piena era digitale, con i dati alla base di qualunque strategia, nel marketing online come nelle dinamiche geopolitiche, questo è ancora più vero.
Chi possiede un’informazione non sempre è disposto a condividerla: magari teme di perdere un vantaggio competitivo, un bonus economico o un riconoscimento professionale.
La fiducia fa da contrappeso.
Se mi fido del mio interlocutore e ritengo che condividere con lui ciò che so mi porterà vantaggi – come un miglior risultato di gruppo, o un’idea ancora più brillante che possiamo sviluppare insieme – allora mi apro e rendo accessibile ciò che conosco.
In azienda, un ostacolo gigantesco alla condivisione è il modo in cui si impostano INCENTIVI e RICONOSCIMENTI.
Se vengo premiato con un bonus soltanto se supero da solo certi obiettivi, perché dovrei cedere una mia preziosa informazione, che magari potrebbe favorire anche altri? È umano che preferisca giocare da solo. Al contrario, se l’azienda premia la collaborazione – per esempio, distribuendo i risultati di una vendita al team che ha contribuito a finalizzare l’accordo – ecco che tutti hanno interesse a mettere in tavola i propri assi.
Spotify, celebre per il suo modello “agile”, assegna obiettivi in cui più reparti devono collaborare per rilasciare un nuovo aggiornamento dell’app. Se schermi “i tuoi segreti” sul codice, rallenti il processo, metti in difficoltà il resto del gruppo e, alla fine, nessuno guadagna.
Altro grande nemico è la presenza di CONFINI rigidi: tra dipartimenti, reparti, o addirittura tra aziende facenti parte dello stesso gruppo.
È come avere una catena di ristoranti sotto la stessa insegna, ma con ciascun locale geloso delle proprie ricette, del proprio network di fornitori e delle proprie strategie di marketing.
Se non si supera mentalmente lo steccato del “noi” contro “loro” e non si crea un’identità comune, si perderanno opportunità preziose.
Semplificare l’organizzazione o, in alcuni casi, eliminare del tutto i confini gerarchici superflui può facilitare lo spontaneo scambio di informazioni.
Molte realtà che si definiscono “piatte” (flat organisations) o “agili” hanno ottenuto successi proprio grazie alla CULTURA della cooperazione orizzontale.
Un altro punto fondamentale è la SELEZIONE E GESTIONE DEL PERSONALE.
Se un’azienda cerca sempre e solo individui super competitivi, pronti a tutto pur di emergere, rischia di creare un clima di continua rivalità interna. È ovvio che in una cultura del genere le informazioni vengano tenute ben strette, nella speranza di “vincere” su altri colleghi.
Alcune aziende tecnologiche, invece, prediligono figure che puntano a imparare insieme, che sviluppano idee lavorando in tandem e condividendo esperienze.
Ecco perché molte società che si occupano di intelligenza artificiale avviano progetti con università e centri di ricerca, dove la collaborazione e la pubblicazione dei risultati sono parte integrante del processo.
È un modo per accedere e far circolare idee innovative e, ovviamente, instaurare fiducia tra persone che, altrimenti, vedrebbero l’altra parte solo come un concorrente.
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